IL TRIBUNALE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile  iscritta
al n. 445/2009 r.g. promossa da: Riboldi Franco (C.F.) con patrocinio
degli avv. Panto' Giuseppe e, con elezione di  domicilio  in  Via  V.
Emanuele,  26  -  20052  Monza,  presso   l'avv.   Panto'   Giuseppe,
ricorrente; 
    Contro I.N.P.D.A.P. (C.F.) con patrocinio degli avv. Peco  Giulio
e, con elezione di domicilio in ATAP Via Vittorio Emanuele II  n.  6,
Casella 252/122B - 2005 Monza, presso l'avv. Peco Giulio, resistente. 
    Con ricorso ritualmente  notificato  il  ricorrente  indicato  in
epigrafe ha convenuto in  giudizio  dinanzi  al  Giudice  del  Lavoro
l'INPDAP deducendo: 
        In premessa, di essere  stato  assunto  nelle  strutture  del
Servizio sanitario nazionale dal 1971, e' divenuto nel 1994 dirigente
amministrativo presso l'Azienda Ospedaliera «Ospedale  di  Lecco»  e,
nel 2004, e' stato collocato in  aspettativa  ai  sensi  del  decreto
legislativo 1992, n. 502 (come  modificato  dal  decreto  legislativo
1999, n. 229), art. 3-bis, commi 8 e 11, per svolgere  l'incarico  di
direttore generale dell'Azienda USL di Bologna, situazione che si  e'
protratta per poco meno di  quattro  anni,  sino  al  2008,  data  di
pensionamento; 
        di avere ricevuto l'indennita' premio di servizio  non  sulla
base del trattamento economico goduto dal  2004  al  2008  in  virtu'
dell'incarico di direttore generale (c.d.  «retribuzione  effettive»)
bensi' in relazione al trattamento economico in atto  al  2004  prima
del  collocamento  in  aspettativa  e'  aggiornato  con  le  relative
progressioni economiche sino al 2008 (c.d. «retribuzione virtuale)». 
    Il ricorrente chiedeva pertanto l'accertamento del  diritto  alla
riliquidazione dell'Indennita' Premio Servizio con l'inclusione nella
base di computo della differenza di trattamento  economico  percepita
negli  ultimi  dodici  mesi  di  servizio  per  effetto  di  mansioni
superiori, ad esclusione dell'indennita' per  funzioni  dirigenziali,
con conseguente condanna dell'I.N.P.D.A.P., al  pagamento  in  favore
del ricorrente della relativa differenza, tra  quanto  corrisposto  e
quanto spettante in forza  dell'accoglimento  del  ricorso  e  quindi
della somma di euro 155.032,00 o della maggiore o minore somma, oltre
interessi legali e rivalutazione monetaria fino al saldo. 
    Fissata l'udienza di discussione  si  e'  ritualmente  costituito
l'INPDAP che ha contestato la domanda chiedendone il rigetto, nonche'
sollevando questione  di  legittimita'  costituzionale  per  contrato
della disciplina in oggetto con l'art. 3 Cost. 
    Oggetto della controversia e' l'inclusione nella base di  calcolo
della  indennita'  «premio  fine  servizio»  della  retribuzione   di
posizione di  Direttore  generale  a  percepita  dal  ricorrente  nel
periodo in cui detto incarico e' stato ricoperto. 
    Secondo  l'art.  4  della  legge  1968,   n.   152,   la   misura
dell'indennita'  premio  di  servizio  e'  pari,  per  ogni  anno  di
servizio, a un quindicesimo  della  retribuzione  contributiva  degli
ultimi dodici mesi di servizio, in ragione dell'80%. 
    Punto di riferimento normativo e' ancora oggi l'art. 11 legge  n.
152/68 il quale al comma 5 stabilisce che l'art. 11, comma  4,  della
legge n. 152/68, secondo cui la «retribuzione contributiva (su cui va
calcolata l'I.P.S.: n. d.r.) e' costituita dallo stipendio o  salario
comprensivo degli aumenti periodici, della tredicesima  mensilita'  e
del valore  degli  assegni  in  natura  spettanti  per  legge  o  per
regolamento e formanti parte integrante dello stipendio stesso». 
    Appare evidente che cio' che assume rilievo  in  questo  contesto
non e' la natura retributiva o meno  della  indennita'  in  questione
(sul punto cassa 11329/05) quanto il  fatto  che  essa  faccia  parte
integrante  della  «retribuzione   contributiva»   sulla   quale   va
effettuato il calcolo ai fini della determinazione  della  Indennita'
Premio Fine Servizio. 
    La  definizione  di  retribuzione  annua  contributiva   indicata
dall'art. 4 della legge 8 marzo 1968, n. 152 e  dall'art.  30,  terzo
comma, della legge 26 aprile 1983, n. 131, comprende la  somma  degli
emolumenti fissi  e  continuativi  devoluti  come  remunerazione  per
l'attivita' lavorativa e, in particolare, tra essi  l'indennita'  per
mansioni superiori,  stante  la  sua  fissita',  predeterminazione  e
continuativita', in  quanto  collegata  ad  incarico  che,  ancorche'
temporaneo, si protrae nel tempo e, peraltro, come nella  fattispecie
sino alla cessazione del servizio del dipendente interessato. 
    A  lungo  si  e'  dibattuto  in  giurisprudenza  su  quale  debba
intendersi lo «stipendio annuo complessivo» ed, in particolare, quali
indennita' ed emolumenti vadano a comporre la nozione  di  «stipendio
complessivo» al fine di individuare la nozione  di  retribuzione  che
rileva in ambito contributivo. 
    Divisa e' stata la giurisprudenza in  merito  alla  questione  se
cio' sia o meno  sufficiente  per  pervenire  al  riconoscimento  del
diritto in quanto noti tutto cio'  che  costituisce  la  retribuzione
entra a far parte della «retribuzione contributiva» in assenza di  un
generale principio di omnicomprensivita'. 
    La giurisprudenza di legittimita'  piu'  risalente  SS.UU.  della
Corte di cassazione (sentenza n.  3673/97  che  pur  affrontando  una
diversa questione relativa ad un  assegno  ad  personam  ha  tuttavia
esaminato l'intera  problematica  affermando  l'incompatibilita'  nel
nostro ordinamento di una  nozione  omnicomprensiva  di  retribuzione
utile ai fini  della  liquidazione  dell'indennita'  in  oggetto)  ha
ribadita l'assenza in  via  generale  di  un  principio  generale  ed
inderogabile di omnicomprensivita' previsto dal  legislatore  solo  a
riguardo di alcuni emolumenti (tra cui  indennita'  di  anzianita'  e
trattamento di fine rapporto), ed ha  osservato  che  se  l'art.  11,
comma 5 avesse voluto comprendere tutti gli emolumenti corrisposti in
via  continuativa  in  connessione   con   le   normali   prestazioni
lavorative, del tutto ingiustificata ed  incoerente  risulterebbe  la
specifica  menzione  degli  aumenti  periodici,  della   tredicesima,
mensilita' e del valore degli assegni in natura come  elementi  dello
stipendio o del salario da ricondurre nell'ambito della  retribuzione
contributiva. 
    Ne conseguirebbe quindi  un'asimmetria  tra  base  imponibile  ed
emolumento computabile nel senso che intanto un  compenso,  sia  pure
percepito  in   modo   fisso,   continuativo   e   con   vincolo   di
corrispettivita'  puo'  entrare  a  far  parte   della   retribuzione
contributiva in quanto sia preventivamente incluso  nel  coacervo  su
cui devono essere versati i contributi. 
    Concludeva pertanto la Corte affermando il principio  secondo  il
quale «l'indennita' Premio Fine Servizio e' costituita esclusivamente
dagli emolumenti testualmente menzionati e che  tale  elencazione  ha
carattere tassativo. 
    L'interpretazione  sin  qui   ricordata   ha   trovato   conferme
successive da parte della Corte (tra  cui  per  esempio  n.  9901/03)
stando  alla  quale  doveva  intendersi   esclusa   l'indennita'   di
incentivazione della produttivita' per  i  dirigenti  medici  benche'
costituente parte fissa e globale  del  trattamento  retributivo  del
lavoratore; cosi' come (Cass n. 15906/04) si escludeva rilevanza alle
indennita'  di  posizione  variabile  ed  all'indennita'  di  rischio
radiologico corrisposte  ai  dirigenti  medici  nonostante,  il  loro
carattere retributivo. 
    Nel solco gia' tracciato  si  collocano  le  successive  pronunce
della Corte in relazione  all'indennita'  per  funzioni  dirigenziali
laddove ha ribadito che «la retribuzione contributiva, alla quale per
i dipendenti degli enti locali si  commisura,  a  norma  dell'art.  4
della legge 8 marzo 1968, n. 152, l'indennita' premio di servizio, e'
costituita solo dagli emolumenti  testualmente  menzionati  dall'art.
11, quinto  comma,  legge  cit.,  la  cui  elencazione  ha  carattere
tassativo  e  la  cui  dizione   "stipendio   o   salario"   richiede
un'interpretazione restrittiva, alla luce della  specifica  menzione,
come  componenti  di  tale  voce,  degli  aumenti  periodici,   della
tredicesima mensilita' e del valore  degli  assegni  in  natura»,  ha
affermato: «Conseguentemente non puo' assumere rilievo, ai fini della
determinazione  della  suindicata  indennita',  l'indennita'  per  le
funzioni dirigenziali, anche se costituente parte fissa  del  globale
trattamento retributivo del lavoratore, in quanto la  stessa  non  fa
parte degli emolumenti specificatamente indicati dalla  norma  e  non
puo' considerarsi come componente dello  stipendio,  nella  locuzione
usata dalla citata norma di previsione». (Corte di  cassazione  sent.
n. 16634/04 e n. 19427/06). 
    Nel medesimo filone si pongono le ulteriori affermazioni  secondo
cui «la retribuzione contributiva, a cui per i dipendenti degli  enti
locali si commisura, a norma della legge 8 marzo 1968, n.  152,  art.
4,  l'indennita'  premio  di  servizio,  e'  costituita  solo   dagli
emolumenti testualmente menzionati dall'art. 11, comma 5, legge cit.,
la cui elencazione ha carattere tassativo e la cui dizione "stipendio
o salario" richiede un'interpretazione restrittiva, alla  luce  della
specifica menzione, come  componenti  di  tale  voce,  degli  aumenti
periodici, della tredicesima mensilita' e del valore degli assegni in
natura.»  (da  ultimo   Cass.   2007/19377   in   motivazione,)   «la
retribuzione contributiva, a cui per i dipendenti degli  enti  locali
si commisura l'indennita' premio servizio e'  costituita  solo  dagli
emolumenti testualmente menzionati dall'art. 11, comma quinto,  legge
cit., la cui elencazione ha carattere  tassativo  e  la  cui  dizione
"stipendio o salario" richiede un'interpretazione  restrittiva,  alla
luce della specifica menzione, come componenti di  tale  voce,  degli
aumenti periodici, della tredicesima mensilita' e  del  valore  degli
assegni in natura. Conseguentemente non  puo'  assumere  rilievo,  ai
fini della determinazione della suddetta indennita',  un  assegno  ad
personam, anche se costituente parte fissa  del  globale  trattamento
retributivo del lavoratore, in quanto lo stesso non  fa  parte  degli
emolumenti  specificatamente  indicati  dalla  norma   e   non   puo'
considerarsi come componente dello stipendio  nella  locuzione  usata
dalla citata norma di previsione»). 
    Del resto, nel regime della indennita'  premio  di  servizio  «la
circostanza che il legislatore del 1968 abbia avvertito l'esigenza di
includere  nello  stipendio  o   nel   salario,   da   valere   quale
"retribuzione contributiva" utile al computo dell'indennita' soltanto
gli aumenti periodici, la tredicesima mensilita'  e  gli  assegni  in
natura,  e  non  anche  altri  emolumenti  seppure  aventi  carattere
indubbiamente retribuivo,  significa  esclusione  dallo  stipendio  o
salario, ai fini anzi detti id est dalla retribuzione  contributiva),
di ogni altra voce del trattamento retribuivo globale del  lavoratore
non espressamente menzionata». 
    In termini  simili  anche  la  giurisprudenza  amministrativa  ha
costantemente  interpretato  il  termine  stipendio   in   tutte   le
controversie concernenti le indennita' di fine rapporto dei  pubblici
impiegati (in tal senso Consiglio di Stato n. 121/1985, n.  1121  del
1998 e da ultimo con riferimento specifico all'art. 13, legge  70/75,
n. 1789/2000). 
    Nell'ultima sentenza indicata il Consiglio di Stato ha  affermato
specificamente che il  calcolo  dell'indennita'  di  anzianita'  deve
essere effettuato avendo riguardo al solo stipendio annuo complessivo
in godimento, qualunque sia il numero delle mensilita' con esclusione
delle indennita' connesse alla specifica posizione professionale  del
dipendente. 
    Tornando alla fattispecie di cui si discute parte  ricorrente,  a
sostegno  dell'assunto  secondo  cui  anche  l'indennita'  Premio  di
Servizio e non solo l'assegno pensionistico va calcolata sulla scorta
della retribuzione percepita per l'incarico  di  direttore  generale,
invoca l'equiparazione posta dalla Sc  con  l'affermazione  (Sez.  L,
Sentenza n. 12325 del 15 maggio 2008 (Rv. 603229) stando  alla  quale
«L'art. 3-bis del d.lgs. n. 502 del 1992, introdotto  dal  d.lgs.  n.
229 del 1999, di attuazione della legge delega n. 419 del 1998 per la
razionalizzazione del Servizio sanitario nazionale, ha  unificato  il
trattamento previdenziale ed assistenziale dei dirigenti, pubblici  e
privati, nominati dalle aziende sanitarie - in ispecie assicurando ad
entrambe  le   categorie   la   conservazione   del   posto   durante
l'aspettativa non retribuita e il computo  del  relativo  periodo  ai
fini del trattamento di  quiescenza  e  di  previdenza  -,  dovendosi
ritenere  che  la  norma,  nella  parte  in  cui   attribuisce   alle
«amministrazioni di provenienza» l'onere di effettuare il  versamento
dei contributi, debba  essere  interpretata  -  in  coerenza  con  il
principio dettato con la delega legislativa - come riferita non  gia'
alle pubbliche amministrazioni ma, genericamente, all'ente datore  di
lavoro, sia esso un ente pubblico ovvero un'impresa privata.  Ne'  la
previsione, imponendo di mantenere in vita un rapporto quiescente, si
pone in contrasto con  l'art.  41  Cost.,  restando  giustificata  la
compressione dell'iniziativa  economica  dell'impresa,  dall'utilita'
sociale, costituita dalla possibilita' di scegliere i dirigenti della
sanita' pubblica nel piu' vasto ambito del lavoro pubblico e privato 
    Evidenza il ricorrente che il citato art. 3, comma  8  e'  stato,
infatti, abrogato e ad esso si e'  sostituito  il  nuovo  art.  3-bis
d.lgs. n. 502/1992 che, come si e' anticipato, al  comma  11  prevede
che «le amministrazioni di appartenenza provvedono  a  effettuare  il
versamento dei contributi previdenziali e  assistenziali  comprensivi
delle quote  a  carico  del  dipendente,  calcolati  sul  trattamento
economico corrisposto per l'incarico conferito». 
    In relazione all'interpretazione del decreto legislativo 1999, n.
229, art. 3, commi 2 e 3 (attuativo della legge delega 1998, n.  419,
art. 2, lettera T), il quale, nel testo del decreto legislativo 1992,
n. 502, ha abrogato l'art. 3, comma 8, e ha introdotto l'art.  3-bis,
commi 8 e 11,  (1) la Corte d'appello di Ancona, Sezione Lavoro,  con
ordinanza 2009, n. 1145, aveva sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale in relazione all'art. 76 Cost., questione che la Corte
costituzionale con pronuncia n. 351/10 ha dichiarato infondata. 
    Tuttavia residua il dubbio circa  il  contrasto  della  normativa
sopra citata con l'art. 3 Cost., per manifesta  irragionevolezza,  in
quanto la norma: 
        nell'ambito dei dipendenti pubblici non  soggetti  a  T.F.R.,
introduce  per  una  ristretta  categoria  di  essi  vale  a  dire  i
dipendenti che hanno assunto temporaneamente l'incarico di  direttori
generali delle USL con contratto di lavoro autonomo  e,  per  questo,
sono stati posti in aspettativa dal rapporto di pubblico impiego)  un
computo del trattamento previdenziale (nella specie, 11.p.s.  di  cui
alla legge 1968 n. 152) piu' vantaggioso nella  base  di  calcolo  (o
retribuzione contributiva) rispetto a quello della generalita'; 
        nell'ambito della ristretta categoria, i dipendenti che hanno
rivestito l'incarico di direttori generali delle USL con contratto di
lavoro autonomo e, per questo, sono stati posti  in  aspettativa  dal
rapporto di pubblico  impiego,  introduce  il  sopra  descritto  piu'
vantaggioso computo del trattamento previdenziale soltanto per coloro
che contestualmente hanno cessato l'incarico  di  direttore  generale
dell'USL, il rapporto di pubblico  impiego  e  l'aspettativa  e  non,
invece, per coloro che, dopo aver  cessato  l'incarico  di  direttore
generale dell'USL e l'aspettativa, hanno ripreso servizio di pubblico
impiego e, successivamente, hanno cessato  il  rapporto  di  pubblico
impiego stesso. 
    In particolare sotto il primo  profilo  per  la  generalita'  dei
dipendenti  pubblici  non  soggetti   a   T.F.R.,   la   retribuzione
contributiva,  alla  stregua  della  legge  come  interpretata  dalla
giurisprudenza di  merito  e  di  legittimita'  sopra  ricordata  (ma
confermata  anche  in  materia  di  indennita'  di   buonuscita,   di
indennita' di  anzianita',  ecc.),  e'  rigorosamente  limitata  agli
emolumenti  percepiti  nell'ultimo  anno  di  servizio   in   stretta
correlazione all'inquadramento (per l'I.P.S. lo  "stipendio"  di  cui
all'art. 11, comma 5, della legge 1968, n. 152),  senza  che  abbiano
alcun rilievo gli emolumenti correlati alle mansioni o  incarichi  di
volta in volta  assegnati,  anche  se  eventualmente  svolti  per  un
notevole periodo di tempo, con o senza aspettativa  dal  rapporto  di
pubblico impiego. 
    Come e' noto fa eccezione a tale principio soltanto la  ristretta
categoria dei dipendenti beneficiati dalla norma in contestazione, la
quale stabilisce che per i medesimi la retribuzione contributiva  non
sia la retribuzione  virtuale  (ossia  gli  emolumenti  che,  se  non
fossero stati collocati in  aspettativa,  gli  interessati  avrebbero
percepito  nell'ultimo  anno  di  servizio  in  stretta  correlazione
all'inquadramento  che  avrebbero  avuto,  ossia   quello   posseduto
all'atto  del  collocamento  in  aspettativa,   aggiornato   con   le
progressioni alle quali avrebbero avuto diritto) bensi'  il  compenso
notevolmente maggiore percepito nell'ultimo anno in qualita'  di  non
di pubblici  dipendenti  ma  di  lavoratori  autonomi  incaricati  di
direzione  generale  delle  USL  per  effetto  di  atti   di   nomina
discrezionali, a termine e revocabili che quindi trovano titolo in un
rapporto  di  natura  diversa  e  comunque  privo  del  carattere  di
stabilita' e continuita'. 
    Inoltre, per il secondo ordine  di  argomentazioni  i  dipendenti
pubblici non soggetti a T.F.R., che abbiano rivestito  l'incarico  di
direttori generali delle USL con contratto di lavoro autonomo e,  per
questo, siano stati posti in aspettativa  dal  rapporto  di  pubblico
impiego, potrebbero: 
        dopo aver cessato l'incarico di direttore generale dell'USL e
l'aspettativa, riprendere servizio di pubblico impiego e, dopo almeno
un anno, cessare il rapporto di pubblico impiego stesso e, in  questa
ipotesi, avrebbero diritto al  computo  dell'i.p.s.  su  retribuzione
pari a quella percepita come dipendenti pubblici nell'ultimo anno  di
servizio, in correlazione all'inquadramento; 
        oppure,  contestualmente,  cessare  l'incarico  di  direttore
generale dell'USL, il rapporto di pubblico impiego e l'aspettativa e,
in  questa  ipotesi,  avrebbero  diritto,  in  virtu'   della   norma
contestata, al computo dell'i.p.s.  non  (come  dovrebbe  essere)  su
retribuzione pari a quella virtuale ossia agli emolumenti che, se non
fossero stati collocati in  aspettativa,  gli  interessati  avrebbero
percepito   nell'ultimo   anno   di    servizio    in    correlazione
all'inquadramento  che   avrebbero   avuto,   bensi'   il   compenso,
notevolmente maggiore percepito  nell'ultimo  anno  quali  lavoratori
autonomi incaricati di direzione generale dell'USL. 
    La  affermata  conformita'  della  disciplina  al  principio   di
ragionevolezza esaminata dalla Corte costituzionale al punto 4  della
pronuncia citata 351/10, presenta  punti  di  rilevanza  sotto  altro
profilo  vale  a  dire  per  la  fiscalita'  generale,  sulla   quale
sostanzialmente si regge  il  bilancio  dell'Istituto,e  pone  quindi
altra questione ossia quella di tenuta rispetto al principio  di  cui
all'art. 3 Cost., alla luce dei  continui  interventi  da  parte  del
legislatore volti sia al contenimento della spesa pubblica, anche nel
settore previdenziale, che ad una razionalizzazione delle  risorse  a
fini  redistributivi  (cfr.  da  ultimo  decreto   Presidente   della
Repubblica 5 ottobre 2010, n. 195 - Dario Immordino). 
    La stessa Corte costituzionale ha  piu'  volte  riconosciuto  che
«,in  un  contesto  di  progressivo  deterioramento   della   finanza
pubblica, si pone la necessita' di  una  piu'  adeguata  ponderazione
dell'interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica e che»
detto interesse non si pone in contrasto con l'art. 38 Cost.  che  di
per se' non esclude la possibilita' di un intervento legislativo che,
per una inderogabile esigenza di contenimento della  spesa  pubblica,
riduca  in  maniera  definitiva  un  trattamento   pensionistico   in
precedenza spettante v., ex  plurimis,  S.  nn.  220/1988,  822/1988,
119/1991 e 240/1994. Sent. n. 0361 del 1996. 
    Posto  che  soltanto  la  Corte  costituzionale,  come  in  altre
occasioni ha fatto (Sentenza n.  0316  del  2010  (G.U.  046  del  17
novembre 2010) puo' stabilire il punto di bilanciamento tra  principi
di uguale rango costituzionale, ossia quello di cui all'art. 38 Cost.
e quello della solidarieta' sociale ex  art.  3  Cost.  sotteso  alle
esigenze di contenimento della spesa pubblica e di tenuta finanziaria
del sistema previdenziale 

(1) Stando a quale al comma 8: «Il rapporto di lavoro  del  Direttore
    Generale (dell'unita' sanitaria locale) (...) e' esclusivo ed  e'
    regolato da contratto di diritto privato, di durata non inferiore
    a tre e non superiore a cinque anni,  rinnovabile,  stipulato  in
    osservanza delle norme del titolo III (Del lavoro  autonomo)  del
    libro V del Codice civile»; al comma 11: «La nomina  a  direttore
    generale  (...)  determina  per  i   lavoratori   dipendenti   il
    collocamento  in  aspettativa  senza  assegni  e  il  diritto  al
    mantenimento del posto. (...) Il periodo di aspettativa e'  utile
    ai fini  del  trattamento  di  quiescenza  e  di  previdenza.  Le
    amministrazioni  di  appartenenza  provvedono  ad  effettuare  il
    versamento dei contributi previdenziali  e  assistenziali  (...),
    calcolati sul trattamento economico  corrisposto  per  l'incarico
    conferito nei limiti dei massimali di cui all'art.  3,  comma  7,
    del d.lgs. n. 1997, n. 181».